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Capire il linguaggio del nostro bebè

Il nostro bebè fin dai primi giorni di vita, ci invia segnali non verbali, per comunicare con noi nei modi più naturali e primordiali che esistano; noi come madri, come genitori, abbiamo il compito importante d’imparare a leggerli e riconoscerli, nella giungla di un linguaggio che è essenziale, primitivo eppure così denso e ricco. Il linguaggio del corpo nei neonati è fondamentale, ricordiamo, infatti, che fin dai primi mesi il neonato è socialmente attivo.

Mettersi in ascolto, in una posizione d’assoluta dedizione, è il principale compito che ci spetta, per poter rispondere ai bisogni del nostro piccolo in modo efficace; non sempre è possibile farlo, talvolta ci sono stimoli e gesti che possono venire fraintesi, ma provarci, tentare una lettura, è sforzo che ci è proprio e a cui non possiamo venir meno.

Ci sono delle linee guida molto importanti per tentare di stabilire un dialogo proficuo con il nostro bambino, fin dai primi giorni di vita, proviamo a vederle nel dettaglio:

  • Impariamo a osservare.
  • Impariamo a riconoscere eventuali segnali e campanelli d’allarme.
  • Impariamo a interpretare il pianto del neonato.

Capire ed interpretare i segnali del neonato

I segnali possono essere di varia natura, ad esempio di tipo neurovegetativo, come affanno, tremore, sussulti, rigurgiti e vomito; oppure di tipo motorio, come rigidità posturali, atteggiamenti protettivi (coprirsi gli occhi con le mani); o ancora di tipo comportamentale, caratterizzati da pianto eccessivo, agitazione, problematiche nel ritmo veglia-sonno, irritabilità. Tutti questi messaggi indiretti comunicano nel bebè una possibile situazione di stress, ma per esserne certi non basta il loro verificarsi, ma diventa essenziale osservare costantemente il bambino, notare le differenze rispetto alla consuetudine e risalire eventualmente alle cause. Di  fronte a questi disagi è importante rassicurare il bebè con atteggiamenti protettivi carichi di affettività, favorendo il contatto corporeo, la rassicurazione vocale. Il pianto può essere sintomo di fame, ma anche di dolore, di eccessiva stanchezza, ma in ciascuno di questi casi, presenterà caratteristiche differenti che solo attraverso l’osservazione potrete individuare e riconoscere. Generalmente il pianto per fame è intervallato con respiri per riprendere fiato, mentre quello provocato da uno stimolo doloroso apparirà più disperato, costante e con pause quasi impercettibili.

Altri comportamenti che potrebbero indicare un disagio manifesto nel piccolo sono i seguenti:

  • Stira le gambe e le piega verso la pancia; il bebè potrebbe avere una colica gassosa, cioè aria nella pancia;
  • Agita ripetutamente le gambe mentre si cambia, non c’è nulla di cui preoccuparsi, è uno dei modi con cui esplora lo spazio circostante, oppure si agita perché ha paura;
  • Batte ripetutamente la testa contro le sbarre del lettino, probabilmente ha difficoltà a prendere sonno.
  • Chiude le manine a pugno, manifestando d’essere teso, probabilmente è spaventato o qualcosa gli fa male.
  • Le mani e le braccia sono tese, ovvero protese, il bebè potrebbe aver voglia di giocare, di esplorare il mondo circostante, quindi di essere considerato.
  • Sbadiglia e si mette le mani sugli occhi, molto probabilmente ha sonno.
  • Gira la testa quando gli si presenta qualcosa, ad esempio un giocattolo, o interrompe il contatto visivo, probabilmente ci sta comunicando d’essere annoiato.

Un bebè ascoltato e compreso è sicuramente un bebè più sereno. Imparare a riconoscere i segnali, attraverso la postura del corpo, la mimica facciale, il modo in cui scalcia, piange o muove le manine è un modo efficace per rafforzare il legame con il vostro bambino. Generalmente i genitori si ritrovano a comunicare con il proprio bambino in modo istintivo, perché cercare di capirlo e rassicurarlo è una spinta naturale, di conseguenza lo sforzo richiesto sarà sicuramente meno gravoso.

 

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